... E ritorno a casa - Racconto & immagini (8)
- aa1269
- 25 set 2016
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(p. 206) Maledicendo e gridando «ferma! ferma!» il ragazzo rincorse l’animale giù per la montagna. Quando lo ebbe ripreso e furono entrambi sul sentiero, l’asino era irrequieto. Pensai: E ora ci devo montare sopra io? Non era un bel momento.
Sudato per la rincorsa fuori programma tra le roccette del pendio, il ragazzo strinse la cinghia della sella dell’asino grigio per adeguarla al mio peso. A questo punto notai la piaga sanguinante causata dalla corda di canapa grezza del sottopancia, che lacerava la pelle non protetta dalla coperta sottosella troppo corta.
«Hai visto?», dissi, indicando la ferita.
Scrollò le spalle: «Non è niente».
«D’accordo, non è niente», dissi, «ma se stringi ancora la sella non salgo sul tuo asino e proseguo a piedi!»
Il tono delle mie parole persuase il ragazzo ad allentare la tensione della corda. A fatica cercai di convincermi che la piaga non fosse troppo dolorosa per l’animale. (Probabilmente, non lo era.)
«Non riesci a metterci sotto la coperta?»
Il ragazzo sistemò la sella meglio che poteva e mi convinsi del tutto. Ripartimmo in fila indiana: io e l’asino grigio avanti, l’asino rossiccio dietro.
Più tardi mi venne in mente una cosa che, quando interagivo con degli sconosciuti per più di cinque minuti, domandavo prima. Quindi mi voltai verso il ragazzo ruotando fortemente il busto, strinsi i talloni attorno alla pancia dell’animale e parlai a voce altissima per vincere il vento.
«Come ti chiami?»
«Hash.»
Urlai nel vento: «Come?».
«Hasidh!»
Il ragazzo teneva la mano aperta sopra il grande ghutra bianco che gli scendeva sulle spalle come uno scialle; schiacciava il tessuto di cotone sopra la calotta della taqiyah, il zucchetto islamico, affinché non volasse via. Si dava un gran daffare.
«Hasdh?»
«Hasidh!», urlò.
Non capii veramente il nome e lasciai perdere, “Hasidh” andava bene; il vento e la distanza tra i due asini non permettevano finezze da antroponimia onomastica.
Arrivammo presso due casette di legno e altre case disabitate in pietra che sembravano i ruderi di un antico villaggio.
«Io fermo qui», disse il ragazzo. «Devi proseguire a piedi.»
Guardai la montagna. «Non possiamo andare in cima?».
«No», disse Hasidh.
«Perché no?»
«Il sentiero, da qui, e sacro.»